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Europeismo e internazionalismo sono le spinte motivazionali a cui i “Sei di Torino”, il gruppo di pittori torinesi formatosi nel 1928 dopo la pubblicazione del famoso testo di Venturi “Il guasto dei primitivi”, si ispirarono per allontanare lo scettro artistico di stampo fascista e l’idea di ogni forma d'arte intesa come celebrazione cieca del nazionalismo più estremo.

Non c’è nessun "ritorno all'ordine" nella politica artistica di Gigi Chessa, Jessie Boswell, Nicola Galante, Cesarina Gualino, Carlo Levi, Francesco Menzio ed Enrico Paolucci. Artisti anticonformisti della prima ora con una gran voglia di riallaciare i rapporti dell'arte italiana con le correnti artistiche internazionali. Aprendosi a nuove esperienze come la Scuola di Parigi e i Fauves, o seguendo con attenzione gli sviluppi della poetica di Modigliani, Manet, Picasso, Dufy, Matisse, Braque, fino all'Espressionismo antiaccademico, lontano da ogni retorica e al di fuori di ogni tipo di orientamento politico.
È sotto la guida morale e intellettuale di Felice Casorati che il gruppo riesce a portare avanti una scelta artistica coraggiosa dalle sfumature politiche che diverrà ben presto espressione di istanze avverse al regime. Sono tanti i momenti e i contributi che l’esperienza della cultura artistica torinese ha saputo trasferire sulla scena pittorica italiana. Mentre la città funzionava da laboratorio e nell’Italia della nuova architettura razionalista venivano presentati i più raffinati spettacoli d’avanguardia europea, i sei giovani pittori perseguivano la ricerca di “Una libertà intesa come realtà da creare e conquistare in tutti i suoi momenti e i suoi modi”.  Era con questo slogan che Carlo Levi cercava di far rimanere agganciata l’arte italiana alle correnti più avanzate. La pittura dei Sei di Torino è realizzata con tecniche tradizionali volte a rinnovare, secondo il dettato postimpressionista, figura, natura morta e paesaggio.
“La formazione del Gruppo, come metodologia espressiva” scriveva Carlo Levi “È accomunata da motivi assai profondi che gravitano in parte nella pittura e in parte al di là della pittura stessa. La necessità di un progetto politico, ma anche culturale, per preparare le élite che saranno chiamate a compiere la rivoluzione antifascista, la consapevolezza che il fascismo è un fenomeno non effimero e che sarà necessario un tempo probabilmente lungo per abbatterlo, il superamento ormai avvenuto dei partiti politici sconfitti dalla dittatura cui dovranno sostituirsi forse nuove temprate dalla lotta contro il Regime.”
La prima mostra torinese del gruppo avvenne presso la Sala d’arte Guglielmini di Torino nel 1929. Nello stesso anno andò in scena la prima genovese: un’esposizione molto gradita e apprezzata anche da Eugenio Montale.
Dopo la seconda mostra torinese, le posizioni dei pittori si diversificano e il gruppo si restrinse ai soli Levi, Menzio e Paolucci. Chessa e Spazzapan si aggiunsero solo in occasione della mostra alla Galérie Jeune Europe diParigi del 1931.
Il gruppo si scioglie definitivamente nel 1935, anno della scomparsa di Chessa, ma rimarranno indelebili le ambientazioni ritratte e le storie di confino raccontate che hanno saputo parlare di quella “immaginaria linea di demarcazione” tra nord e sud che ancora oggi stenta ad essere rimossa.

Carlo Levi e “I sei di Torino” in mostra
L’architettura di Gualino

Fonte: artonweb.it; arsvalue.com; cerca.unita.it; vma47.it; lavocedifiore.org