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La solitudine delle spiagge siciliane e la profondità degli abissi citati nell’Eneide paiono affiorare nelle immagini che affollano le cronache drammatiche degli sbarchi siciliani di questi ultimi tempi. Il Mediterraneo con la sua secolare tradizione d’incrocio di culture, di genti e di sapori, di viaggiatori e di merci, di alchimie e sapienze cosmopolite, non è solo drammaticità.

L’immigrazione e l’integrazione culturale di popoli hanno esteso gli orizzonti anche nel mondo artistico e contribuito ad una continua evoluzione di sperimentazioni nell’arte contemporanea e non solo. Il tema delle barriera e delle migrazioni, dello stare e dell’andare segue la storia della nostra penisola e del Mediterraneo in particolare.
Tutte le persone che lasciano la loro terra e che affrontano questo viaggio della speranza, oltre alle loro vite sulle nostre coste e al loro lavoro ci offrono narrazioni e immagini che incrociandosi con le nostre possono costruire nuove memorie europee. Questo è ciò che si vuole diffondere alla società civile con il progetto di ricerca “Corpi attraverso il confine”, promosso dal Consiglio Europeo e che la Fondazione Merz di Torino ha organizzato. La mostra documenta filmati, disegni, fotografie, raccolti in Italia e Olanda. Il rapporto tra cittadini immigrati, l’arte e le istituzioni museali italiane è un legame importante che diventa indice d’integrazione sociale e culturale. L’arte ricostruisce approdi e svela identità e assonanze, ritrae gli invisibili e le barriere che inutilmente si estraniano. Come l’opera Barka di Sislej Xhafa, che a questa gente, per molti invisibile, ridà nel 2011 forma e presenza, realizzando un barcone di scarpe, incollate tra loro quasi impastate. Un barcone che non è contenitore, ma appunto impasto di quelle scarpe che prepotentemente evoca la drammaticità delle fotografie dell’Olocausto: la scarpa, oggetto che richiama una presenza nell’assenza. O ancora la scultura di gesso e marmo Home to go, un manichino bianco che ritrae il cammino di un migrante sotto il peso di un tetto che porta sulle sue spalle (realizzato dall’esperienza personale dell’artista emigrante Adrian Paci). Prima di questi esodi di massa c’è sempre stata la passione, la curiosità per l’arte che giungeva oltre confine. Come l’arte africana! Portata a conoscenza dagli europei dai grandi esploratori. In principio, però, gli oggetti africani che giungevano in Europa erano visti esclusivamente come curiosità o come creazioni di popoli primitivi. Solo agli inizi del Novecento, grazie ad artisti come Picasso, Braque, Modigliani e Matisse, l'arte africana ottiene i primi riconoscimenti. L’arte africana giocò un ruolo fondamentale nell’arte contemporanea influenzando movimenti e artisti ad ogni latitudine, anche se all’inizio venne considerata più una curiosità che una forma d’arte vera e propria. In pochi anni divenne un elemento insostituibile per il gruppo dei surrealisti, nel cui ambito Giacometti fu portato a operare per circa un decennio. In questo periodo conobbe Picasso e nel 1948 realizzò il suo capolavoro: L’uomo che cammina.
La sua semplicità e allo stesso tempo la grande capacità di espressione giocarono un ruolo fondamentale nella cultura dei primi del Novecento.

Corpi attraverso i confini
Alla scoperta della Torino multietnica

Fonte: http://quasimodonline.altervista.org; http://www.bioeticanews.it;
http://corrierefiorentino.corriere.it;